Esperienze e documenti
di Giuseppe Zanniello (Università di Palermo)
Identità sessuale e di genere a scuola
L’attuale situazione di confusione teorica e pratica sulle tematiche della coniugalità richiede una specifica preparazione degli alunni ai rapporti corretti con le persone dell’altro sesso. La diffusione di concezioni radicali in tema di identità sessuale e di identità di genere sollecita gli insegnanti ad agire, in stretta collaborazione con i genitori, in un campo molto delicato della vita degli alunni. L’azione educativa esige l’esplicitazione dei presupposti antropologici che ispirano l’amore umano nel fidanzamento e nel matrimonio. Come risulta da una serie di ricerche internazionali e dagli esiti di un recente convegno, le scuole sessualmente omogenee facilitano l’acquisizione di una precisa identità sessuale da parte degli alunni e l’integrazione dei ruoli maschili e femminili nella vita familiare e professionale.
Nelle trasmissioni televisive, al cinema, sui periodici e nella rete si parla continuamente delle relazioni tra i due sessi in un modo che privilegia la superficialità dell’immagine, la fisicità, l’emotività e la soddisfazione erotica. Questo modello relazionale «virtuale», che è in radicale contrasto con la verità sull’uomo e con l’esperienza reale, non consente ai giovani di riflettere su se stessi, sulla propria e altrui interiorità, per potersi decidere
a esercitare le virtù della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza nelle relazioni con le altre persone.
a esercitare le virtù della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza nelle relazioni con le altre persone.
Senza convinzioni e virtù, maturate con la riflessione personale e con un agire coerente, si creano delle relazioni deboli e superficiali (nello stile del «mordi e fuggi»), che riducono l’essere umano a oggetto di precaria fruizione. Mi sembra che i ragazzi di oggi abbiano bisogno di una scuola che, nell’educare mediante la cultura, insegni loro che cosa significa essere padre o madre, marito o moglie; perché bisogna prendersi cura dell’altro con un amore profondo che non si limiti all’emozione epidermica; quali benefici alla realizzazione personale arreca il dono di sé per la crescita integrale della persona amata.
Se vogliamo che i giovani imparino ad amare l’altro, con le caratteristiche specifiche della sua femminilità o mascolinità, dobbiamo offrire loro una scuola dove possano studiare e comprendere tali caratteristiche attraverso il patrimonio culturale che, una volta assimilato, avranno l’obbligo di sviluppare. Ritengo che, quando una persona si forma un’identità, femminile o maschile, ben definita, è più capace di comprendere l’identità di una persona dell’altro sesso, di muoversi in ogni ambiente senza mimetismi o sopraffazioni, di essere se stessa/o accettando e rispettando chi è diverso da sé.
Intendo precisare qual è, secondo me, il compito della scuola nella formazione dell’identità sessuale e di genere degli alunni; non farò riferimento alla famiglia che, com’è noto, in questo campo svolge un ruolo molto più importante della scuola.
1. Educazione e identità di genere
Fino a pochi anni fa era generalmente condivisa l’idea che fosse possibile distinguere, senza opporle tra di loro, l’identità sessuale, che si radica nel sesso psico-biologico, dall’identità di genere (gender), che si riferisce agli aspetti sociali del ruolo maschile e del ruolo femminile. Oggi, invece, gruppi di pressione ideologica ben organizzati tendono ad affermare che ogni individuo è libero di scegliere la propria identità di genere; sono attivi da un ventennio alcuni movimenti che rivendicano il diritto che ognuno si possa «costruire» il proprio sesso, anche con l’aiuto della tecnologia e della chirurgia. Secondo i sostenitori di questa ideologia, che è già sfociata nella pratica attiva, la sessualità predefinita va superata anche attraverso una radicale manipolazione del corpo, che si può rendere artificialmente in tutto o in parte e completandolo con innesti, quando è necessario per il benessere psicologico dell’individuo; a tal fine sono accolte con entusiasmo le nuove tecnologie riproduttive (Roccella, 2007). Le idee che ho appena richiamato fanno sentire il loro influsso anche sulla scuola.
È comprensibile che per chi è convinto che basti presentarsi all’ufficio anagrafe del proprio Comune di residenza con un certificato rilasciato da uno psicologo, regolarmente iscritto all’albo professionale, per ottenere il riconoscimento ufficiale del proprio cambio di sesso, non possa essere condivisibile l’idea che la scuola ha anche il compito di aiutare gli alunni a definire la propria identità di genere, in modo che sia coerente con il proprio sesso.
Chi, invece, condivide l’antropologia personalistica non considera le specificità maschili e femminili come dei limiti; anzi, li vede come occasione di arricchimento reciproco tra gli alunni dei due sessi e come richiesta, agli insegnanti, di mettere in pratica i principi dell’educazione personalizzata. Per il movimento dell’educazione personalizzata (García Hoz, 2005), le diversità fra ragazzi e ragazze (in termini di ritmi di maturazione, interessi, giochi, modalità relazionali, espressione di sentimenti e processi cognitivi) appartengono al naturale ordine psicobiologico e devono essere opportunamente considerate per il conseguimento degli obiettivi educativi e formativi che la scuola si propone.
Non si può ignorare l’influsso dell’educazione nella formazione dell’identità di genere. Quando uno dei due sessi è biologicamente e psichicamente portato ad assolvere certi compiti, questa differenza di abilità influenza le aspettative nei suoi confronti. Le tendenze innate negli uomini e nelle donne facilitano la nascita di atteggiamenti e comportamenti che i bambini recepiscono dal loro ambiente e, di conseguenza, si adattano alle aspettative di ruolo fondate sulla realtà psico-biologica.
Intanto, sia a casa che a scuola, si rinforzano le differenze naturali offrendo ai bambini attività, esperienze e giocattoli adatti alle loro tendenze sessuali perché si ritiene che, per lo sviluppo armonico della personalità, sia auspicabile l’accordo tra l’identità sessuale e l’identità di genere mediante una specifica forma di educazione; a questo compito educativo famiglia e scuola non si possono sottrarre.
Le affermazioni che ho fatto finora presuppongono un concetto di persona umana che occorre esplicitare.
2. I presupposti antropologici
Le persone hanno in comune gli stessi diritti e doveri, identiche capacità naturali; similmente posseggono un’intimità e la capacità di manifestarla, possono liberamente donarsi e accettare il dono di sé da parte di un’altra persona.
Il dialogo costituisce la via obbligata per la piena realizzazione personale; l’uomo è un essere costitutivamente dialogante, non può vivere senza dialogare con altre persone.
Nel secolo scorso, vale a dire fino a dieci anni fa, si poteva completare questa descrizione delle note fondamentali della persona affermando, senza ragionevoli rischi di contestazione, che tutte le persone sono connotate anche dalla femminilità o dalla mascolinità o, per meglio dire, sono donne o uomini.
Oggi, invece, bisogna motivare questa affermazione quando ci si rivolge a una classe scolastica; occorre spiegare che:
[...] essere uomo o donna non si riduce all’essere maschio o femmina: la sessualità dell’uomo non riguarda solo il corpo, ma anche lo spirito, dal momento che entrambi appartengono all’unità della persona. La sessualità umana, a differenza di quella animale, modula anche la psicologia e la vita intellettuale: gli uomini e le donne presentano differenze che riguardano il modo di essere, di pensare, di comportarsi, di vedere le cose, di stare nel mondo. Ci sono alcuni caratteri propri della femminilità e della mascolinità, che sono tra di loro complementari. (Yepes Stork e Aranguren Echevarría, 1999, pp. 200-201)
L’armonia nella comunicazione e nella comprensione tra i due sessi è una meta ideale, che esige di essere presentata agli alunni come una reale necessità della vita familiare, professionale, sociale, politica e religiosa.
La parità dei diritti delle donne e degli uomini e la diversità tra i due sessi come occasione di arricchimento reciproco costituiscono i due concetti basilari su cui impostare l’educazione di genere a scuola, nelle forme e nei modi adeguati al livello di sviluppo degli alunni, tenendo presenti quali sono le idee dominanti al riguardo nel loro ambiente naturale di vita.
L’esperienza di molti insegnanti, che è una delle principali fonti della riflessione pedagogica, testimonia che le tematiche della diversità-complementarità dei due sessi si possono affrontare con maggiore profondità e ricchezza di dettagli in una classe monogenere piuttosto che in una classe sessualmente mista. Le opinioni divergono invece circa i luoghi, i tempi, gli ambienti e le circostanze in cui ogni alunno è invitato a sperimentare la diversità-complementarità tra la donna e l’uomo facendo esperienze relazionali con le persone dell’altro sesso perché, in certi casi, la scuola è di fatto l’unico luogo in cui una ragazza o un ragazzo può incontrare i coetanei dell’altro sesso o, almeno, così si ritiene.
Per i personalisti, natura e cultura interagiscono nella formazione dell’identità sessuale della persona umana; la corretta percezione del rapporto tra la natura umana e la cultura consente di ancorare la ricerca pedagogica e la pratica educativa al vero bene della persona, concepita come un’unità somatico-psichicospirituale, in cui le tendenze, la ragione e la volontà si armonizzano nel dono di sé all’altro, vale a dire nell’amore di benevolenza o amicizia, che rende l’uomo davvero felice.[1]
Un particolare tipo di relazione di amicizia è il matrimonio, in cui c’è l’intenzione di una donna e di un uomo di costituire una comunità destinata a durare tutta la vita, promettendosi reciproca fedeltà, con la disposizione a oggettivare la loro unità nei figli comuni. Fino a pochi anni fa era possibile parlare ai giovani della preparazione al matrimonio in questi termini senza suscitare reazioni negative. Spaemann scriveva, ad esempio:
La peculiarità della promessa matrimoniale è possibile soltanto sulla base della specifica complementarità di persone sessualmente differenti, su cui si fondano la trasmissione della vita e la continuità del genere umano. Se la personalità consiste nell’avere una natura umana, allora essa consiste sempre già nell’avere una natura femminile o maschile, dunque una natura che include la disposizione verso una persona dell’altro sesso. […] Persone dello stesso sesso possono sentirsi attratte l’una all’altra eroticamente; tuttavia la loro relazione sessuale resta una loro «cosa privata», continua finché a ciascuno dei due piace, ma non fonda un’unità nuova e oggettiva. (Spaemann, 2005, p. 222)
Non mancano ragioni per ritenere che oggi nella «scuola della persona» vadano poste le premesse culturali necessarie affinché l’alunno possa comprendere qual è la vera natura del matrimonio.
Negli ultimi anni, in Italia, è stato costruito un clima culturale che impedisce ai giovani di cogliere immediatamente la splendida bellezza, sia pure frutto di ardua conquista, della vita matrimoniale concepita nei termini appena descritti; per questo motivo oggi occorre intensificare l’impegno educativo in favore, congiuntamente, della coniugalità e della genitorialità quando si preparano i giovani alla vita familiare.
Lo raccomanda anche Benedetto XVI (n. 44, 2009): «Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona». Si potrebbe dimostrare anche sperimentalmente che, quando si scinde l’esercizio della sessualità dall’apertura alla vita, è messa in discussione la stabilità del vincolo matrimoniale che, dal punto di vista pedagogico, è necessaria perché l’essere umano impiega molti anni per diventare indipendente grazie all’educazione (Polo, 1992, p. 59).
Si tratta di tematiche estremamente delicate che gli insegnanti possono affrontare convenientemente solo se c’è un «patto educativo» con i genitori dei propri alunni.
Attualmente la stessa espressione «natura umana» viene rifiutata da alcuni. Si richiede pertanto che a scuola si parli con profondità e competenza della differenza, della complementarità e della pari dignità dei due sessi, in modo da favorire in ogni alunno l’acquisizione di un’identità di genere coerente con l’identità sessuale. Ma, nella relazione educativa, la parola dell’insegnante è solo l’inizio di un processo che deve portare l’alunno al possesso delle virtù che, nel caso specifico dei corretti rapporti con le persone dell’altro sesso, sono innanzitutto le virtù della giustizia e della temperanza, con le loro articolazioni interne. Il termine «virtù» è usato nell’accezione di A. MacIntyre (2007, p. 235): «Una virtù è una qualità umana acquisita il cui possesso ed esercizio tende a consentirci di raggiungere quei valori che sono interni alle pratiche, e la cui mancanza ci impedisce effettivamente di raggiungere qualsiasi valore del genere».
È stato recentemente dimostrato da una ricercatrice italiana che la genesi della virtù e l’educazione morale che essa richiede non sono possibili se non in comunità umane unificate da una concezione della vita buona, dalla narrazione di storie che fanno rivivere gli eventi, da una tradizione vivente che metta a confronto gli ideali tramandati con le nuove situazioni (La Marca, 2005, p. 87).
Genitori e insegnanti sono pertanto invitati a trasformare la scuola in una comunità educante che aiuti i figli-alunni a esercitarsi nella prudenza, nella giustizia, nella fortezza e nella temperanza. Per raggiungere queste finalità educative sono possibili diverse scelte organizzative e metodologiche.
3. La flessibilità organizzativa e metodologica
Grazie al pluralismo pedagogico vigente nelle società democratiche, in questo momento esistono scuole primarie e secondarie che utilizzano i contenuti dei libri scolastici per valorizzare le specificità femminili o maschili degli alunni, nella prospettiva dell’integrazione delle differenze. Lo studio della religione, della filosofia, della letteratura, dell’arte, del diritto, dei costumi sociali, di tutto ciò che l’intelligenza speculativa, l’arte poetica, narrativa e figurativa, come pure il ragionamento tecnico-funzionale hanno elaborato nel corso dei secoli intorno alla specificità femminile e maschile, costituisce il punto di partenza di una scuola che voglia formare delle identità forti.
In alcuni istituti scolastici gli alunni possono relazionarsi con insegnanti del loro stesso sesso, li possono assumere come modelli di riferimento nella definizione della propria identità. Si ritiene infatti che, mentre si stanno definendo l’identità sessuale e l’identità di genere, la relazione con l’insegnante dello stesso sesso rassicuri l’alunno/a, perché ha un ulteriore modello di riferimento, oltre il padre o la madre, e perché lo sente più vicino a sé rispetto all’insegnante dell’altro sesso.
È chiaro che non ci sono inconvenienti per l’alunno/a che ha un insegnante di sesso diverso dal suo.[2] Ma è altrettanto evidente che il processo di insegnamento-apprendimento è facilitato dalla condivisione dello stesso genere sessuale perché la relazione educativa è più «amichevole», fermo restando la «non pariteticità» dei due ruoli, del discente e del docente: l’uno può comprendere meglio il «vissuto» dell’altro con cui condivide il genere, anche se entrambi sono persone uniche e irripetibili. In generale, tranne che nel rapporto di coppia, due persone dello stesso sesso si intendono più facilmente e si parlano con maggiore spontaneità. E si sa che, quando c’è una comunicazione fluida tra insegnante e alunno, la relazione educativa raggiunge un maggior livello di profondità; ovviamente se si ritiene che la scuola debba non solo istruire ma anche educare.
È evidente che le donne e gli uomini devono imparare a collaborare sempre meglio nell’ottica della complementarità tra i due sessi. Il dibattito pedagogico non consiste tanto nel dire se si è favorevoli alle classi scolastiche omogenee o miste, quanto nello studiare a quale età è possibile imparare a collaborare efficacemente con le persone dell’altro sesso, in quali ambienti formativi e in che cosa.
La risposta è apparentemente semplice: quando l’uomo e la donna hanno definito sufficientemente la loro identità personale, che include anche l’identità sessuale.
La diversità delle situazioni personali e sociali non consente invece soluzioni scolastiche-organizzative uniche. Ad esempio, in alcune società le ragazze e i ragazzi non si possono frequentare facilmente se non a scuola; mentre in altre essi vivono abitualmente insieme e hanno piuttosto bisogno di luoghi e di tempi per coltivare le proprie specificità di genere, come sono le scuole single sex.
Negli istituti single sex dove i genitori partecipano attivamente alla vita scolastica, le famiglie promuovono iniziative di incontri tra ragazze e ragazzi che completano l’opera educativa degli insegnanti: rappresentazioni teatrali e musicali, interventi di volontariato sociale, cineforum, visite guidate a siti archeologici, brevi stages professionali (solo per citare delle realizzazioni di cui ho conoscenza diretta).
4. Il dibattito sulle scuole omogenee e miste
È a tutti evidente che le donne si sviluppano più rapidamente degli uomini. Ad esempio, la maturità di una ragazza di 12 anni, come età cronologica, equivale mediamente a quella di un ragazzo di 14 anni. Questo didatticamente richiede una certa flessibilità nella costituzione dei gruppi di apprendimento a scuola; è invece molto discutibile ritenere che l’unico criterio per la costituzione delle classi sia quello dell’età anagrafica degli alunni.
È da tempo noto che le donne e gli uomini apprendono in modo diverso e che esiste perfino una diversità nella conformazione del cervello femminile e maschile (Rubia, 2007; Cahill, 2005; Archer e Lloyd, 2002). Ciò comporta che i docenti dovrebbero insegnare gli stessi saperi agli uomini e alle donne ma con una metodologia didattica differenziata (La Marca, 2007). Invece, la differenziazione della didattica in base al sesso avviene di rado perché è ancora molto diffusa nell’opinione pubblica italiana l’idea che, a scuola, la coeducazione sia «progressista» e l’educazione differenziata sia «retrograda». Effettivamente quando, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, furono generalizzate le scuole miste, l’intento dei loro sostenitori era quello di emancipare la donna da una condizione di subalternità all’uomo, nel segno del progresso sociale e politico.
Si è poi visto che l’ideale delle «pari opportunità» tra uomini e donne si persegue meglio personalizzando l’educazione scolastica, nel segno della valorizzazione e dell’integrazione delle differenze psico-biologiche tra essi esistenti (Fize, 2003). Inoltre, di fatto, le finalità dell’auspicata coeducazione a scuola non sono state raggiunte; anzi, forse non c’è stato finora neppure un vero e proprio progetto coeducativo. Nella scuola, in assenza di una specifica progettualità pedagogica, si è realizzata così solo una prolungata convivenza promiscua; ma evidentemente non è bastato che le alunne e gli alunni stessero insieme nello stesso edificio scolastico per imparare a rispettarsi, comprendersi e collaborare (Galli, 2007).
Non sorprende quindi che in tutti i Paesi del mondo, tranne in quelli di tradizione latina, gli alunni delle scuole single sex siano aumentati significativamente nell’ultimo decennio fino a raggiungere il numero attuale di circa 40 milioni.[3] In Italia finora non è stato finora così.
Circa cinquant’anni fa in Italia le scuole miste furono presentate come un aiuto all’emancipazione della donna e come una modalità organizzativa scolastica che avrebbe favorito la nascita di corretti rapporti tra persone di sesso diverso. Oggi, secondo il parere di numerosi esperti delle più diverse tendenze culturali,[4] le «pari opportunità» tra uomo e donna si conseguono meglio quando le alunne non hanno in classe delle presenze maschili che assorbono l’attenzione degli insegnanti per la loro irrequietezza e irruenza, limitano il ventaglio dei loro progetti professionali, distolgono le loro energie mentali dallo studio per la preoccupazione di farsi apprezzare dai compagni maschi. Lo stesso avviene per i ragazzi, che si impegnano di più nello studio quando non si vedono costantemente superati nei risultati scolastici dalle ragazze, che maturano prima di loro, e quando gli insegnanti non pretendono da loro gli stessi comportamenti sociali e di lavoro delle compagne di classe. È stato rilevato, inoltre, come molti inconvenienti delle classi miste non sono rimossi neppure con la presenza di classi maschili e femminili nello stesso edificio (Mael, 2008).
Oggi la società italiana è profondamente cambiata rispetto a 40-50 anni fa. Tutti osserviamo che i preadolescenti e gli adolescenti, di sesso diverso, stanno sempre insieme tutti i giorni, in tutti i luoghi e in tutte le circostanze; essi avrebbero piuttosto bisogno di alcune occasioni per coltivare le loro specifiche caratteristiche maschili o femminili, almeno a scuola. In campo pedagogico si è diffuso nel frattempo il sistema dell’educazione personalizzata che prevede, fra l’altro, una maggiore attenzione della scuola alle specifiche peculiarità fisiche, temperamentali, intellettuali, volitive e affettive di ogni alunno.
5. I risultati delle ricerche sul campo
La generalizzazione del modello educativo-scolastico misto, avvenuta negli anni Sessanta del secolo scorso, non fu preceduta né accompagnata dalla ricerca pedagogica; furono infatti motivazioni a volte ideali e a volte economico-organizzative che indussero a trasformare in miste molte scuole che, fino ad allora, erano solo femminili o solo maschili. I dubbi sull’efficacia educativa della scuola mista, sollevati nei successivi anni Ottanta, provocarono una serie di ricerche sul campo, che indussero i Governi, per lo più dell’area culturale anglosassone, a ricercare soluzioni organizzativo-scolastiche nuove che offrissero realmente alle donne le stesse opportunità di successo formativo, professionale e sociale degli uomini.
Il più ampio confronto tra i risultati educativi delle scuole miste e di quelle omogenee fu effettuato in Australia, dall’Australian Council for Educational Research, mediante un’indagine svolta dal 1994 al 2000 in 53 scuole su un campione di 270.000 alunni.[5] I risultati scolastici dei ragazzi e delle ragazze delle scuole single-sex furono superiori di 15-22 ranghi percentili a quelli degli alunni delle scuole miste. In base agli esiti dell’indagine il Governo australiano, seguito poco dopo da quello neozelandese, incoraggiò lo sviluppo delle scuole differenziate per sesso. Attualmente le scuole single-sex in Australia sono 1479, di cui 139 pubbliche; in Nuova Zelanda le scuole differenziate per sesso ora sono addirittura più numerose nel sistema pubblico che in quello privato e lo stesso avviene in altri Paesi del Pacifico.
Riordan (2006) ha presentato all’International Congress of Single-Sex Education, svoltosi a Barcellona dal 20 al 22 aprile del 2006, i risultati di una metaanalisi, condotta sotto la sua direzione per incarico del Department of Education degli USA, delle principali ricerche pubblicate tra il 1984 e il 2005 sugli effetti delle scuole omogenee e di quelle miste, per i maschi e per le femmine. Il sociologo americano, che è giustamente considerato il massimo esperto del tema, ha raggruppato i risultati del suo studio in sei aree: risultati a breve termine nell’istruzione, risultati a lungo termine nell’istruzione, sviluppo socio-emozionale a breve termine, sviluppo socio-emozionale a lungo termine, percezione della cultura scolastica, soddisfazione soggettiva. Tutti i dati esaminati sono complessivamente favorevoli alle scuole omogenee per sesso.
Il contributo, a mio avviso, più significativo per il dibattito in corso in Italia consiste nel fatto che, nel 70% degli studi esaminati da Riordan, lo sviluppo socio-emotivo, sia a breve che a lungo termine, delle donne che hanno frequentato una scuola femminile è migliore di quello delle donne che hanno frequentato una scuola mista. Il dato mi sembra rilevante per il nostro Paese, dove i sostenitori delle scuole miste ancora temono il pericolo di possibili danni nello sviluppo socio-emotivo per gli alunni e per le alunne delle scuole omogenee.
Le scuole single sex si sono dimostrate una carta vincente anche nella lotta alla dispersione scolastica. Si è visto che, nei quartieri culturalmente più degradati, la dispersione scolastica maschile diminuisce quando gli alunni non subiscono il confronto umiliante con le compagne che abitualmente riescono meglio di loro nello studio. Nelle scuole di questi quartieri anche le molestie sessuali alle alunne scompaiono quando sono frequentate solo da ragazzi o solo da ragazze.[6]
Attualmente nel Regno Unito le scuole differenziate per ragazze e per ragazzi sono 1092, di cui circa la metà state schools; negli USA sono 1.890, con una crescita spettacolare specialmente nel settore pubblico a partire dal 2002. Ci sarà pure un motivo per cui, nelle valutazioni annuali dei risultati degli alunni, fatte da un’agenzia specializzata su incarico del Governo, le migliori scuole pubbliche inglesi sono single sex? Si può spiegare solo con il pragmatismo dei nord-americani il fatto che, da un decennio circa, la nascita di scuole sessualmente omogenee è incoraggiata dall’autorità pubblica e trova il consenso di molti genitori statunitensi?
Anche i sostenitori, per vari motivi, della scuola mista oggi devono riconoscere che la scelta della scuola differenziata fa migliorare la motivazione nello studio e il rendimento scolastico degli alunni.
6. Gli esiti del congresso EASSE
Durante il congresso dell’European Association Single-Sex Education (La Marca, 2009, p. 159), svoltosi a Roma nel 2009, sono stati discussi i motivi pedagogici che giustificano la diversificazione dell’organizzazione scolastica in funzione del sesso degli alunni: scuole miste, scuole single-sex, classi miste, classi omogenee in scuole miste, separazione dei maschi e delle femmine per l’insegnamento di alcune discipline, e così via. Il volume degli atti contiene una sintesi dei risultati delle ricerche internazionali sui vantaggi e gli svantaggi cognitivi, affettivi e relazionali delle diverse forme organizzative della vita scolastica. In esso sono inoltre raccolte delle buone pratiche didattiche, quale patrimonio di esperienze positive realizzate nelle scuole che praticano forme sessualmente differenziate di insegnamento, per valorizzare le specificità femminili e maschili durante il normale processo di costruzione del sapere da parte delle alunne e degli alunni, nell’ottica della reciprocità e della collaborazione tra i due sessi.
«L’idea secondo la quale le differenze nell’apprendimento di soggetti maschi e femmine sia dovuta all’imprinting dato/imposto dal contesto sociale non è del tutto fondata», ha detto Leonard Sax (2009, pp. 24-48), noto psicologo americano e direttore esecutivo della National Association for Single-Sex Public Education.
Vi sono dei comportamenti ascrivibili a ciò che la società vuole che uomini e donne siano (Sax, 2009). Tuttavia, esiste un ampio repertorio di ricerche secondo le quali il modo di apprendere dipende dalla differenza di sesso poiché tale differenza incide sensibilmente sul funzionamento degli emisferi cerebrali. Nell’uomo, come in alcune specie di primati, il cervello seleziona, analizza, conosce la realtà in maniera diversa a seconda che il soggetto sia maschio o femmina.
Quella dell’educazione differenziata è una scelta pedagogica e organizzativa che permette ai due sessi di approfondire meglio le loro caratteristiche e che pertanto contribuisce alla diminuzione degli stereotipi di genere. Come ha sottolineato Serenella Macchietti (2009, pp. 49-57), docente di Pedagogia Generale presso l’Università degli Studi di Siena e già presidente nazionale dell’Associazione Pedagogica Italiana, «l’azione educativa, che mira a suscitare persone libere, aperte alla vita e agli altri, capaci di autoformarsi nel corso dell’intera esistenza, afferma la singolarità e l’unicità di ogni persona, valorizza le inclinazioni e gli atteggiamenti che nascono dalla matrice femminile o maschile, senza appiattimenti e omologazioni ». L’educazione, secondo Macchietti, mira a onorare l’unicità e l’originalità di ogni persona, escludendo un’uguaglianza piatta della donna e dell’uomo.
Klement Poláček (2009, pp. 58-68) ha presentato una sintesi degli studi sui vantaggi e sugli svantaggi delle scuole miste e di quelle sessualmente omogenee. Dopo aver esaminato i risultati di 106 ricerche, pubblicate in nove diversi Paesi tra il 1969 e il 2007, è giunto poi alla conclusione che la maggioranza di esse propendono per la superiorità pedagogica della scuola sessualmente omogenea principalmente perché in essa il clima e le interazioni personali sono più serene, i risultati scolastici sono migliori e gli stereotipi di genere diminuiscono specialmente nella scelta della carriera formativa e professionale; poi perché risulta più formativa per alcune componenti della personalità come il concetto e la stima di sé, i rapporti sociali e la leadership, mentre il suo effetto è meno evidente sulla fiducia in se stessi e sulla vita da adulti; gli alunni, invece, sono più favorevoli alla scuola mista. Poláček ha concluso ricordando la responsabilità educativa dei genitori nella scelta del tipo di scuola più adatta ai figli di 13-15 anni di età.
«La scelta della scuola differenziata non comporta la discriminazione di nessuno dei due sessi» ha spiegato Alessandra La Marca (2009), docente di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Palermo. «Al contrario, quando un centro scolastico sceglie di organizzare l’attività didattica in modo differenziato per gli uomini e per le donne, mira all’educazione integrale della persona umana e tiene conto delle differenze esistenti nel modo di essere dell’uomo e della donna».
«La scuola solo femminile o solo maschile favorisce l’uguaglianza delle opportunità» ha sottolineato Maria Calvo Charro (2009, pp. 111-147), Delegata dell’Easse-Spagna, docente ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università Carlos III di Madrid. «Per la realizzazione della parità tra i sessi l’insegnamento sessualmente omogeneo ha un’importanza cruciale e ha portato alla piena integrazione delle donne nella scuola con gli stessi requisiti, gli obiettivi e gli obblighi previsti per gli uomini».
Sheila Cooper (2009, pp. 102-110), direttore esecutivo della Girls’ Schools Association di Leicester (GB) che raggruppa 200 scuole single-sex, ha messo in evidenza come «recenti ricerche in campo neurologico condotte negli Stati Uniti e in Europa hanno confermato che ragazzi e ragazze apprendono in maniera differente, sviluppano e maturano con ritmi differenti». Ciò nonostante le difficoltà nel differenziare il modo di insegnare rimangono, per mancanza di sufficiente ricerca didattica.
Giuseppe Mari (2009, pp. 148-158) — docente di Pedagogia Generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano — nella sua relazione ha evidenziato i pericoli di un’uguaglianza che porta a un’uniformità piatta tra maschi e femmine: «Ad esempio, consideriamo cosa ha significato per la donna conseguire l’uguaglianza con l’uomo in campo lavorativo. Si è trattato sicuramente di una conquista che ha permesso di acquisire maggiore autonomia, ma è stata pagata con l’assimilazione del lavoro femminile a quello maschile non soltanto — dov’è accaduto — conseguendo la giusta equiparazione salariale ma anche con la negazione — nei fatti — della maternità, diventata un ostacolo all’affermazione professionale della donna».
Per questo motivo diventa importante sostenere e approfondire il crescente riconoscimento della «differenza» come fattore essenziale per il conseguimento della vera uguaglianza.
Durante il congresso, io stesso (Zanniello, 2009, pp. 85-101) ho manifestato inizialmente una preoccupazione: «in questo momento tutti gli educatori hanno urgente bisogno di principi orientativi che, nel riconoscere la base fisica delle differenze tra femminilità e mascolinità, promuovano l’uguaglianza dello sviluppo delle due forme di essere della persona, senza privilegi o subordinazioni».
Ho poi dichiarato che, con i dati finora disponibili, non è possibile dimostrare sperimentalmente la sicura superiorità di un modello organizzativo-scolastico per tutti gli alunni, sempre e in tutti i contesti socio-culturali. È d’altro lato evidente che su un punto convergono i risultati delle ricerche svolte all’estero negli ultimi venti anni: le alunne e gli alunni apprendono meglio e imparano a relazionarsi meglio con le persone dell’altro sesso, nelle scuole in cui è prevista una diversa articolazione delle attività educative in base alle differenze sessuali. Sarebbe pertanto auspicabile anche in Italia «l’inizio di un fecondo dibattito pedagogico per verificare sperimentalmente quale modello organizzativo-scolastico favorisce meglio il rafforzamento dell’identità di genere negli alunni» (ibidem).
Alla fine dei lavori sono state condivise sei conclusioni dai 350 congressisti provenienti da 15 Paesi:
1. L’educazione differenziata per i ragazzi e le ragazze si afferma nel XXI secolo come un tipo di organizzazione scolastica sempre più richiesta dalle famiglie per i buoni risultati ottenuti dagli alunni sia nell’apprendimento delle discipline scolastiche sia nello sviluppo delle capacità relazionali.
2. L’educazione sessualmente omogenea si è dimostrata efficace per superare gli stereotipi di genere, per garantire le pari opportunità e per combattere l’insuccesso scolastico.
3. Le attuali conoscenze antropologiche e di neurobiologia confermano la necessità di tenere presenti le differenze di genere nel processo di apprendimento.
4. L’educazione personalizzata, che include l’attenzione alle caratteristiche specifiche delle donne e degli uomini, arricchisce il panorama pedagogico perché offre alle famiglie una più ampia gamma di soluzioni educative. L’imposizione di un modello scolastico unico limita invece la libertà di scelta dei genitori e porta la scuola indietro nel tempo.
5. Si auspica che, in tutti i Paesi, le autorità scolastiche promuovano l’eccellenza educativa e includano l’educazione single sex tra le opzioni presenti sia nelle scuole statali che in quelle non statali.
6. È necessario affrontare a scuola il tema delle differenze di genere e far conoscere all’opinione pubblica i vantaggi di un’educazione attenta alla valorizzazione delle specificità femminili e maschili, nell’ottica della complementarità dei due sessi e della loro collaborazione su un piano paritario.
7. Conclusione
Nel dibattito, diventato a volte ideologico, sull’educazione di genere si tende a ridurre, appiattire o sfumare l’identità sessuale, rinunciando a definire percorsi formativi adeguati a un sesso e all’altro.
Sono invece innumerevoli le ricerche che dimostrano che gli stili e i ritmi di apprendimento di ragazzi e ragazze sono molto distanti tra loro: non migliori o peggiori, semplicemente diversi. Di conseguenza, un insegnamento che li tratti come se fossero identici, utilizzando la stessa strategia didattica e pretendendo lo stesso tipo di rendimento, svantaggia entrambi.
Una volta garantito che alle donne e agli uomini si offrono opportunità formative della stessa qualità, a ogni scuola dovrebbe essere data la facoltà di scegliere, in accordo con i genitori, la forma organizzativa che preferisce per far raggiungere a ogni alunna e a ogni alunno il più alto risultato possibile per lei/lui, sia nell’apprendimento che nella formazione della personalità, il che costituisce una base indispensabile per la promozione personale e per la mobilità sociale.
È auspicabile che anche in Italia vengano svolti studi e ricerche sulle modalità educative che meglio valorizzano le differenze sessuali e di genere presenti negli alunni, affinché ognuno raggiunga la meta dell’eccellenza personale sia nell’apprendimento che nella capacità di collaborazione nella vita familiare, professionale e sociale. Alle sterili polemiche occorre sostituire studi pedagogici e didattici che aprano strade nuove all’attuazione dei principi della personalizzazione educativa e della reale attuazione delle pari opportunità di sviluppo per le donne e per gli uomini.
Il gruppo di ricerca didattica dell’Università di Palermo si sta muovendo in tale senso con la collaborazione di insegnanti — di scuole statali e paritarie — che, convinti dell’opportunità di diversificare il modo di insegnare alle ragazze e ai ragazzi, intendono mettere a disposizione degli altri colleghi le loro esperienze educative sul tema della valorizzazione delle differenze sessuali a scuola. È compito specifico dei ricercatori palermitani assicurare la «tenuta» metodologica del disegno sperimentale, dalla formulazione delle ipotesi fino alla valutazione dei risultati.
Sullo stesso tema stanno lavorando altri due gruppi di ricerca, presso l’Università Cattolica di Milano e presso l’Università LUMSA di Roma. Si ritiene che si possano individuare delle linee metodologiche per aiutare gli alunni a prepararsi al matrimonio, all’educazione dei figli e alla collaborazione con le persone dell’altro sesso nella vita sociale e professionale.
Summary
The current theoretical and practical misunderstandings on the themes of sexuality and marriage make it clear that a specific educational action is required in order to prepare pupils to correct relations with people of the opposite sex. The spread of radical ideas concerning sexual identity and gender identity urges teachers to work, in close collaboration with parents, in a very delicate area of students’ life. The educational activity requires the clear and explicit statement of the anthropological framework which inspires human love in courtship and marriage. As shown by a number of international contributions and by the outcomes of a recent conference, gender-specific schools smooth the progress of acquisition of a clear sexual identity by pupils and enhance the integration of male and female roles in family and professional life.
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Note
1. Queste idee sono ampiamente sviluppate nel sesto capitolo di A. Malo, Antropologia dell’affettività, Roma, Armando, 1999, pp. 259-294.
2. A causa della femminilizzazione del corpo docente, in un contesto che promuove l’incertezza e l’ambiguità, qualche problema per la costruzione di un’identità forte potrebbe invece sorgere in un ragazzo che avesse praticamente solo insegnanti donne e per di più un padre assente o poco interessato alla sua educazione.
3. Rapporto di ricerca del 2009 dell’European Association Single Sex Education, consultabile sul sito http://www.easse.org/.
4. Si vedano, ad esempio, i contributi raccolti nel volume curato da G. Zanniello, Maschi e femmine nella scuola, Torino, SEI, 2007.
5. Il rapporto di ricerca, pubblicato nel 2001, è consultabile nei siti della Australian Council for Educational Research (http://www.acer.edu.au/) e della National Association for Single-Sex Public Education (http://www.singlesexschools.org/).
6. Queste informazioni e quelle del capoverso successivo sono ricavate da un rapporto di ricerca del 2009 dell’European Association Single-Sex Education consultabile nei siti http://www.easse.org/ e http://www.diferenciada.org/.
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